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Le installazioni al neon di Massimo Uberti

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la scritta spazio amato è realizzata con tubi al neon modellati
Massimo Uberti, Spazio amato, 2009, neon

Nel lavoro di Massimo Uberti l’attenzione alla dimensione spaziale dell’abitare è una costante: sedie, tavoli, scale, librerie, impianti architettonici sono trasformati in figurine luminose; mura sottili, dal perimetro luminoso, edifici leggeri, come svuotati, la cui essenza è segnata dalla luce. Forme essenziali che fanno riflettere sulla contemporaneità.

L’artista

Cifra stilistica dei lavori di Massimo Uberti (docente di Pittura e arti visive presso l’ Accademia di Belle Arti Santagiulia – Brescia) è la luce. Attraverso i neon l’artista crea elementi domestici o installazioni site specific all’interno di sedi espositive e spazi pubblici.

Il neon

Una scala, due sedie, perimetro del pavimento e della porta sono realizzati tramite dei tubi al neo e collocati in una sala museale
Massimo Uberti, Linee di costruzione, 2011

La materia fredda del tubo luminoso al neon  è il segno potente con cui l’artista traccia nello spazio architetture di luce. Spazi sottratti alla loro fisicità divengono luoghi fluidi irreali. Tra sottrazione e immaginazione, spazi utopici  che si  aprono alla fantasia personale e collettiva.

 
“Il neon  è l’unico materiale – spiega l’artista­ – che mi consente di disegnare nello spazio come fosse una matita luminosa. Per il momento è l’unico materiale luminoso che emette luce a 360°; altre e più sofisticate tecnologie hanno ancora una parte in ombra, quindi il neon è uno strumento luminoso, il più luminoso”.

Alcuni lavori

una casetta vuota le cui linee sono disegnate da tubi al neon.
Massimo Uberti, Abitare, 1999

Abitare (1999) è il titolo del mio primo lavoro al neon (attualmente visibile dalla vetrata di ingresso dell’università Bocconi di Milano, n.d.r.);  da lì in poi è stato un continuo costruire luoghi per abitanti poetici (vedi Verso l’ infinito e oltre, n.d.r.). Le città ideali sono la conseguenza dei miei studi sullo spazio (vedi Tendente infinito alla Fondazione Stelline, n.d.r.) “– chiarisce l’artista.

 
Tra i lavori di Massimo Uberti è da ricordare anche la scritta, realizzata con un tubolare al neon modellato, intitolata Spazio amato, esposta nel 2008 alla N.O. Gallery di Milano. L’installazione era l’unica entità percepibile all’interno dello spazio vuoto, spogliato di qualsiasi arredo, capace di rendere quest’ultimo visibile.
 
Tendere infinito è la sua imponente installazione luminosa (27 metri di diametro e 14 metri di altezza) presso il Palazzo delle Stelline  di Milano, che ripropone le linee di Sforzinda, la città ideale immaginata dal Filarete nel 1465.

La filosofia

scala composta da tubi al neo di luce bianca sospesi nello spazio
Massimo Uberti, Verso l’infinito e oltre, 2005, neon e filo d’ argento

Il nucleo della filosofia di Uberti è il processo di riduzione. I suoi sforzi sono quasi sempre diretti a ridurre le sue opere alla loro essenza, facendo uso dei  tubi al neon nudi e poche altre materie prime.

 
“Mi piace realizzare architetture di luce. Come per tutti i pittori dall’inizio della storia, la luce è fondamentale per il mio lavoro. – spiega Massimo Uberti – Io impiego i tubi al neon per costruire luoghi per abitanti poetici, cercando di creare spazi da sogno che permettono di  riflettere, cosa che penso necessaria per tutti.”.

Design Miami 2014

 La silhouette esterna, costruita con tubi al neon , richiama la forma di un edificio industriale con all’interno la una sagoma di un tavolo sempre realizzata con tubi al neo
Massimo Uberti, Light, 2014

Uberti è stato invitato dalla Bentley per celebrare, attraverso  l’elemento della luce, la casa di produzione automobilistica inglese. Nasce così il lavoro Light ­­– presentato da poco in occasione del Design Miami 2014 – ispirato alle sale di controllo dei veicoli: una zona con luci al neon, dove le auto vengono accuratamente esaminate prima di lasciare la fabbrica.
A partire dall’interazione tra uomo e macchina, l’opera si compone di una silhouette esterna che richiama la forma di un edificio industriale con all’interno la  sagoma di un tavolo, omaggio al lavoro progettuale e manuale della creazione di ogni veicolo.

 
Guarda il video:
 

Articolo scritto da:

Martina Adami

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Critica e curatrice di arte contemporanea, vive e lavora a Roma. Al suo attivo vanta la realizzazione di mostre sia collettive sia personali; è stata assistente per una galleria d’arte, oltre ad essere collaboratrice di diversi artisti. Dal 2011 collabora con varie testate di arte contemporanea («Artribune», «Inside art», ecc.) scrivendo recensioni, interviste e articoli di approfondimento. Ha vissuto a Londra da dove è stata corrispondente estera per «Exibart», «Exibart International» e «Inside Art». Tra le esperienze più significative la collaborazione con l'Istituto Nazionale per la Grafica dove ha svolto ricerche bio-bibliografiche e seguito la digitalizzazione dell’archivio video. Adora girare in bicicletta, spostarsi da un'inaugurazione all'altra e visitare gli artisti nei loro studi. Il suo blog personale è www.martbug.it.

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