Distanze tra fabbricati in caso di demolizione e ricostruzione
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Il D. M. 2 aprile 1968 n. 1444 ha fissato quelli che definiamo standard urbanistici, ovvero il rapporto da mantenere tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e quelli dedicati alla collettività, come verde pubblico, parcheggi, attività produttive e così via, da tenere in considerazione in sede di pianificazione urbanistica.
Con lo stesso decreto sono stati stabiliti i limiti inderogabili da rispettare in materia di densità edilizia, altezza e distanza fra i fabbricati.
La strumentazione locale può poi fissare dei limiti ancora più restrittivi ma non prevedere misure di portata inferiore.
Il D. M. 1444 fissa dunque anche i limiti da rispettare per le distanze tra fabbricati.
In particolare, la distanza tra pareti finestrate deve essere di almeno 10 metri.
Gli edifici costruiti in epoca precedente all’entrata in vigore del decreto possono avere però distanze inferiori a quelle oggi in vigore.
Cosa succede allora in caso di demolizione e ricostruzione di un edificio esistente: bisogna rispettare i parametri attualmente vigenti o si può ricostruire alla stessa distanza dell’edificio preesistente?
Il Testo Unico dell’edilizia (dpr 380/01) classifica gli interventi di demolizione e ricostruzione tra quelli di ristrutturazione edilizia, purché avvengano a parità di volume.
Sono concesse unicamente le modifiche necessarie per adeguare il fabbricato alla normativa antisismica.
Non è più quindi necessario rispettare anche la stessa sagoma e costruire sull’identica area di sedime come avveniva in passato.
Il requisito del rispetto della sagoma permane per la verità unicamente per gli edifici demoliti e ricostruiti nelle aree sottoposte a vincolo ai sensi del decreto legislativo 42/2004 e successive modificazioni.
Rispetto delle distanze tra fabbricati per interventi di demolizione e ricostruzione
Il Consiglio di Stato ha risposto a questa domanda con la recente sentenza n. 4728 del 12 ottobre 2017, sostenendo che la possibilità dipende dal modo con cui avviene la ricostruzione e facendo quindi distinzione tra due casi:
- demolizione e ricostruzione a parità di sagoma e area di sedime
- demolizione e ricostruzione con differente sagoma e area di sedime.
Il caso in esame era quello di un soggetto che aveva demolito e ricostruito un fabbricato, spostandolo rispetto al preesistente, in modo che al posto di una precedente tettoia si trovasse adesso una parete finestrata. Il Consiglio ha imposto che fossero presi provvedimenti per rispettate le distanze attualmente vigenti.
I giudici hanno infatti spiegato che se la ricostruzione avviene oltre che a parità di volume, anche a parità di sagoma e sulla stessa area di sedime, non è necessario rispettare il limite di 10 metri fissati dal D. M. 1444 né eventuali altre misure ancora più restrittive stabilite dai piani urbanistici locali.
Se al contrario, la ricostruzione avviene senza rispettare sagoma e area di sedime, invece, occorre rispettare i limiti previsti per le distanze dagli altri fabbricati e dal confine.
Questo perché, cambiando collocazione, “l’edificio rappresenta un novum” per cui è come se fosse una nuova costruzione.
Questo spiegano i giudici, ma motivata in questo modo la sentenza a mio avviso appare un po’ in contraddizione con la definizione di ristrutturazione edilizia.
Vale comunque la pena ricordare una precedente sentenza del Consiglio di Stato, quella del 14 settembre 2017 n. 4337, nella quale si affermava che “la disposizione dell’art. 9 n. 2 D.M. n. 1444 riguarda nuovi edifici costruiti per la prima volta e non già edifici preesistenti, per i quali, in sede di ricostruzione, non avrebbe senso prescrivere distanze diverse”.