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Frei Otto, l’architetto delle tensostrutture

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Frey Otto, vincitore del Priztker Prize 2015

Architetto Frei Otto, vinciotre del Priztker Prize 2015
Frei Otto – Foto © 2015 The Pritzker Architecture Prize / The Hyatt Foundation

Lo scorso 9 marzo è scomparso a 89 anni l’architetto Frei Otto. Proprio il giorno dopo gli è stato ufficialmente assegnato il Priztker Prize 2015, di cui però era già stato messo al corrente da qualche giorno, riconoscimento giunto al culmine di una carriera esemplare per diverse generazioni di architetti.

La vita

Otto era nato nel 1925 in una famiglia di artisti, dimostrando però precocemente un certo interesse per le costruzioni, tanto da lavorare anche come muratore.
Si laureò a Berlino nel 1948 ma durante la guerra aveva già iniziato a ideare grandi tende per il riparo, necessarie per la penuria di materiali da costruzione e per la mancanza di alloggi.
Fu quindi proprio la scarsa disponibilità di mezzi che lo spinse a sperimentare e sviluppare le sue ricerche nel settore delle strutture portanti leggere, delle tensostrutture, delle coperture a tenda e pneumatiche, di cui è stato il massimo innovatore.
Dopo un periodo di studi negli Stati Uniti, dove conobbe celebri architetti come Mies van der Rohe e Wright, tornò in patria dove fondò il suo primo studio nel 1952.

Un’architettura pionera e le tensostrutture

Otto è stato un architetto pioniere sotto molto punti di vista: da quello più puramente tecnico che ha finito per legare il suo nome indissolubilmente all’”invenzione” e all’impiego delle tensostrutture, membrane tese con una leggera struttura reticolare, all’approccio progettuale sempre attento all’ambiente, che ne ha fatto un anticipatore dell’attuale edilizia sostenibile e lo ha visto collaborare con diverse figure professionali (biologi, naturalisti, artisti, storici, filosofi, ingegneri). Infatti credeva in un utilizzo responsabile dei materiali e nella necessità di un impatto minimo dell’architettura sull’ambiente.
 
L’osservazione della natura e dei suoi meccanismi era fondamentale negli studi di Otto, per cui si può definire un anticipatore dell’architettura biomimetica, visto che molte sue strutture traggono il loro funzionamento dall’imitazione di fenomeni naturali.
La sua architettura si distingueva quindi dal contesto culturale in cui era cresciuto, quello della Germania nazionalsocialista, caratterizzato dall’utilizzo di forme massicce e compatte. Le sue realizzazioni erano invece leggere e aperte alla luce naturale. Ma soprattutto Frei Otto era un utopista, convinto che l’architettura fosse in grado di realizzare per tutti un mondo migliore.
 
Tra le sue opere più rappresentative emergono senza dubbio quelle caratterizzate dall’uso delle tensostrutture, prime fra tutte le coperture delle strutture olimpiche di Monaco, del 1972, la voliera dello zoo di Monaco e la Diplomatic Club Heart Tent a Riyadh, in Arabia Saudita, entrambe del 1980, o il padiglione giapponese all’Expo 2000 di Hannover, progettato in collaborazione con l’architetto giapponese Shigeru Ban, vincitore del Pritzker lo scorso anno. Ma già in precedenza aveva realizzato opere importanti come alcune strutture per le German Federal Exhibitions del 1950 e il Padiglione tedesco all’esposizione universale del 1967 di Montreal.

l’opera più celebre: l’Olympiastadion di Monaco

L’opera più celebre di Frei Otto sono le coperture dello stadio di Monaco di Baviera e del parco olimpico, progettate per le Olimpiadi del 1972
Coperture dello stadio di Monaco di Baviera, opera di Frei Otto – Foto © Christine Kanstinger

L’opera più celebre di Frei Otto è senz’altro rappresentata dall’insieme di coperture dello stadio di Monaco di Baviera e del parco olimpico, progettate per le Olimpiadi del 1972 con Gunther Benisch, che rappresentano il modello esemplare dell’utilizzo di tensostrutture.

 
Le tensostrutture sono delle costruzioni a tenda formate da cavi in acciaio e teflon pre-tesi. Nascono dall’osservazione delle tende dei nomadi e della loro capacità di resistere a condizioni climatiche estreme, nonché dagli studi ossessivi di Frei Otto sui materiali e sulle possibilità di utilizzarli in impieghi strutturali ottenendo risultati di massima leggerezza e trasparenza.
Anche se ha ormai oltre quarant’anni l’Olympiastadion colpisce sempre il visitatore per la sua modernità grazie all’aspetto simile a una grande ragnatela trasparente in fogli traslucidi di plexiglas, di oltre 60.000 metri quadri di estensione.
 
L’impiego nel parco Olimpico di Monaco rappresenta l’apice nel modo di utilizzare questo tipo di costruzioni: qui, infatti, si raggiunge un perfetto equilibrio tra le strutture di sospensione, le membrane in tensione, lo spazio sottostante e il paesaggio circostante.

 

Articolo scritto da:

Carmen Granata

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Architetto libera professionista e giornalista pubblicista. Si occupa di progettazione e consulenza immobiliare anche online. Il suo sito è "GuidaxCasa".

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