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L’architettura come miraggio: Lucid Stead

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L’artista Phillip K. Smith III,  davanti a Lucid SteadNel mezzo del deserto della California, una baracca luminosa e specchiante ha trasformato il paesaggio. Un’installazione effimera, una casetta speciale animata da poesia e tecnologia che ha attirato molti visitatori curiosi.

Da baracca a opera d’arte

Prima una semplice baracca in disuso, deposito per merci ed attrezzi da lavoro. Ora, dopo l’intervento di Phillip K. Smith III (Los Angeles, 1972), la piccola struttura in legno si è trasformata divenendo un’opera d’arte in grado di far riflettere sul territorio in cui si trova: il deserto dello Joshua Tree, in California (USA).

Una struttura di mutevole aspettoCon la superficie specchiante Lucid Stead si integra nel paesaggio riflettendo il trascolorare delle ore del giorno

Lucid Stead si erge come un miraggio in uno spazio vuoto, ruvido, desolato come il deserto, ponendosi come una struttura mutevole, connessa al paesaggio e in continua mutazione. Infatti, con il passare delle ore e col mutare delle condizioni di luce, la piccola struttura si altera nell’aspetto. Grazie a un sistema di specchi, illuminazioni a led, dispositivi elettronici e una piattaforma Arduino, la casupola diventa una macchina surreale e viva.

Lucid Stead di giornoLucid Stead, la baracca nel deserto di legno e specchi. Le pareti specchianti di giorno riflettono il paesaggio desertico circostante.

Le superfici perimetrali esterne riflettono l’ambiente intorno, così da frammentarlo e moltiplicarlo. Allo stesso tempo la casetta è attraversata dalla luce, sparendo nel contesto. Si innesca un gioco di finte trasparenze e di sovrapposizioni, mettendo anche  in cortocircuito interno ed esterno, natura e architettura, oggetto e ambiente.

Lucid Stead di notte

Lucid Stead di notte. Le finestre e la porta diventano delle superfici luminose che variano di colore (tra i verdi, i rosa, i viola, gli azzurri)Le aperture in corrispondenza delle finestre divengono delle superfici cromatiche accese che variano di colore, tra i verdi, i rosa, i viola, gli azzurri. Ve lo immaginate? Potreste pensare che si tratti di un’astronave aliena.

L’idea

Lucid Stead è pensata come una macchina estetica straniata in un territorio marginale. Occasione per stimolare una consapevolezza differente rispetto alla dimensione della solitudine, della contemplazione e della compenetrazione con i luoghi, tra eccitazione e inquietudine. Lucid Stead al tramonto, le superfici perimetrali esterne sfruttano la luce circostante e mutano in relazione a questa

Forse risponde a un bisogno sempre più comune di questi tempi. Che ne pensate?

Per saperne di più:

– il sito web del progetto: http://royaleprojects.com/lucid-stead

– i video: http://vimeo.com/80200103    http://vimeo.com/79449970

Articolo scritto da:

Martina Adami

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Critica e curatrice di arte contemporanea, vive e lavora a Roma. Al suo attivo vanta la realizzazione di mostre sia collettive sia personali; è stata assistente per una galleria d’arte, oltre ad essere collaboratrice di diversi artisti. Dal 2011 collabora con varie testate di arte contemporanea («Artribune», «Inside art», ecc.) scrivendo recensioni, interviste e articoli di approfondimento. Ha vissuto a Londra da dove è stata corrispondente estera per «Exibart», «Exibart International» e «Inside Art». Tra le esperienze più significative la collaborazione con l'Istituto Nazionale per la Grafica dove ha svolto ricerche bio-bibliografiche e seguito la digitalizzazione dell’archivio video. Adora girare in bicicletta, spostarsi da un'inaugurazione all'altra e visitare gli artisti nei loro studi. Il suo blog personale è www.martbug.it.

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